Il Procacciatore d’Affari
Affrontiamo, ancora una volta perché sempre più di attualità, il tema del procacciatore d’affari ed affrontarlo significa innanzitutto definire il contratto di agenzia partendo dalla Legge:
a) codice civile (art. 1742 e seguenti);
b) Legge n. 12 del 2 febbraio 1973 come modificata in data 19 luglio 2011, per approvazione da parte dei Ministeri Vigilanti, dal nuovo testo regolamentare con nota Protocollo 24/VI/0012674/MA004.A007 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 186 dell’11 agosto 2011, che concerne l’obbligatorietà dell’iscrizione all’Enasarco;
c) D.Lgs. 26 marzo 2010 n. 59 di attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai presupposti per iscriversi alla Camera di Commercio dichiarando quale attività prevalente quella di agente.
Il contratto di agenzia è infatti un contratto tipico che trova dettagliata disciplina nelle norme sopra citate, la stragrande maggioranza delle quali ha carattere inderogabile e obbligatorio.
Il contratto di procacciatore d’affari non è disciplinato specificamente da norme di Legge, essendo un contratto atipico i cui contenuti sono definiti dalle parti.
Chiarite così le fonti normative dei due istituti, andiamo a vedere in cosa si differenziano l’uno dall’altro.
Secondo la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, il contratto di agenzia si qualifica per la continuità e la stabilità dell’agente il quale, non limitandosi a raccogliere episodicamente ordinazioni, promuove stabilmente la conclusione di contratti per conto del preponente nell’ambito di una determinata sfera territoriale (Cassazione 23 luglio 2012 n. 12776).
La Suprema Corte, quindi, fra i vari elementi essenziali del contratto di agenzia ha sempre enfatizzato quelli della continuità e della stabilità della prestazione che non esauriscono la loro portata in una dimensione solo temporale comprendendo vieppiù la professionalità dell’agente di commercio, ritenuta indispensabile dalla Legge (D.Lgs. n. 59/2010) per poter esercitare questa attività.
Insieme alla stabilità, elementi essenziali del contratto di agenzia sono poi l’attività di promozione, la zona (e/o gruppo di clienti), il compenso. Elemento naturale ma non essenziale è l’esclusiva. La forma scritta non ha invece valore sostanziale ma è solo mezzo di prova dell’esistenza del rapporto e dei suoi contenuti.
Il procacciatore d’affari, invece, è il soggetto il quale episodicamente raccoglie ordinativi dai clienti senza alcun obbligo a svolgere attività di promozione, senza alcuna esclusiva, senza prendere parte al momento in cui viene assunto o formalizzato un impegno e quindi anche senza alcun diritto, ove non previsto in un contratto, addirittura al compenso. Inutile parlare delle altre garanzie previste dalla Legge e dagli AEC.
Alla luce di quanto abbiamo prima detto, appare evidente che non dovrebbe esserci alcuna possibilità di confusione fra il contratto di agenzia e quello, atipico, del procacciatore d’affari. In effetti nessuna possibilità di confusione esiste ove siano chiari gli accordi delle parti ed ove l’attività in concreto svolta risponda agli accordi presi avuto riguardo alle distinzioni sopra indicate.
Ed allora chiediamoci senza ipocrisie qual è il motivo per cui si fa abuso del ricorso alla figura del procacciatore d’affari: se ne fa abuso perché stipulando un contratto di procacciatore d’affari ma chiedendo nel contempo l’adempimento di obblighi che sono invece propri solo dell’agente di commercio si ottiene il risultato di:
1) non versare i contributi Enasarco;
2) non corrispondere le indennità di fine rapporto;
3) non rispettare la malattia dell’agente;
4) non avere l’obbligo di tutelare la gravidanza;
5) non essere obbligati a riconoscere il preavviso, sia come periodo predeterminato di lavoro sia come pagamento dell’indennità sostitutiva;
6) non avere l’obbligo di riconoscere né il diritto di esclusiva (comunque facoltativo anche per l’agente) né di pagare le provvigioni su clienti acquisiti precedentemente, come invece previsto dall’art. 1748 c.c..
Così si vede bene perché, specialmente ai giovani, si fa sottoscrivere un contratto di procacciatore d’affari e poi si richiede l’attività di agente. Ma a dimostrazione del fatto che il contratto di procacciamento sia, in ragione della sua totale aleatorietà e volatilità, addirittura inesistente basta la considerazione più semplice e banale del mondo: si è mai vista un’azienda, industriale o commerciale, che pianifichi la propria politica di vendita affidandosi a soggetti, di nessuna certificata competenza professionale, i quali non hanno alcun obbligo, si ripete alcun obbligo, di cercare clienti e che di tanto in tanto trasmettono un ordine solo quando gli capita fra le mani?
Se si ritiene che esista un’azienda industriale o commerciale che possa operare in questo modo, allora si può anche sostenere che esistono i procacciatori d’affari, ma se ciò è – come in effetti è – impossibile solo da pensare, allora diciamo che ricorrere alla figura del procacciatore d’affari significa da un lato violentare lo stato di bisogno in particolar modo di giovani che, pur di lavorare, soggiacciono a qualsivoglia vessazione e dall’altro frodare gli istituti previdenziali e porre in essere un atto che è comunque illegale.